Ora, io comprendo che qualcuno potrebbe anche non comprendere la bizzarria del fatto, qualcuno eziandio potrebbe inarcare un sopracciglio, altri potrebbero esprimere un certo sonoro dissenso.
Però i fatti sono questi, esattamente come si sono verificati. Poi decidete voi cosa farvene di queste tristi novelle.
Orbene, stamattina eravamo, la Prole ed io, in giro per commissioni e il pomeriggio era, altresì, denso di appuntamenti. Quindi la decisione è stata unanime e veloce: CI TOCCA rimanere fuori
a pranzo!
Il problema grave, in questi (frequenti) frangenti è: dove andiamo a sgranocchiare parcamente qualcosa, noi due piccoli nidiacei di sparviero parmigiano?
Decidemmo, cercando di conservare una briciola di dignità e di non cominciare a sbavare come due cani di Pavlov, di andare in un ristorantino appena aperto vicino allo Studio.
Con una leggerissima aura di noncuranza (ma pregustando già il ben noto menù) ci recammo sul luogo e, che bello! Ci sono anche tavolini con, al posto delle sedie, delle amenissime altalene.
Wow, meraviglia! Esclamai da incauta ingenuotta quale sono.
Ebbene ci sedemmo e cominciammo elegantemente a dondolare, in quel momento ancora piuttosto decorosamente.
Dopo un attimo di allegria, ancorché dignitosa, la Prole si assentò un attimo per aggiustarsi il trucco ed io mi accinsi a controllare le mail sul cellulare.
A quel punto, non so com’è e come non è, non so che costellazioni si sono scontrate nell’etere, non so di chi sia la colpa, non ricordo nemmeno bene l’esatta dinamica dei fatti ma, in un
nanosecondo, ho sentito un leggero rumorino e il ricordo successivo è che ero sdraiata per terra dopo essermi leggiadramente scaravoltata con doppio carpiato all’indietro, emettendo un
compassionevole urlo e finendo miserrimamente gambe all’aria.
In un altro nanosecondo quasi tutti gli avventori e i camerieri, superato a fatica lo sconcerto e lo spavento, si assieparono pallidissimi intorno a me, sempre dolorosamente supina, con un
coro premuroso e, francamente inopportuno, di “Signora, come sta? Si è fatta male?” e così via.
Io ero sciaguratamente distesa fingendo di stare benissimo e che fosse tutto assolutamente normale, che avevo semplicemente provato una figura di alta acrobazia, come sono solita fare nei
ristoranti più eleganti della mia città. In realtà, invece, cercavo disperatamente di non gemere a causa del dolore incommensurabile che provavo al cranio e al gomito.
L’apoteosi però fu raggiunta quando un gentile ed elegante signore mi tese galantemente la mano e sussurrò: “Ce la fa ad alzarsi in piedi, signora? Vuole un aiuto?”.
No, dai! Questo no! A me! Dopo tutte le battaglie per la parità dei diritti, dopo il 1968! Dopo tutti gli anni in cui il mio amico Aldo nelle nostre folli serate, a Salso, mi guardava alzando
un sopracciglio, scuoteva il capino e mormorava: “Chiara tu, vedi, non saresti una brutta ragazza ma, santo cielo, ti comporta come una valchiria!”.
Ed io, dopo tutto questo dovrei, in tarda età, capitolare e appendermi alla mano del primo signore sconosciuto per alzarmi da terra? Come una pallida ed eterea damina del ‘700? Eh, no! Quando
è troppo, … è troppo!
Con un subitaneo rigurgito di orgoglio femminista, rifiutai con sommo sdegno e, piagnucolando nascostamente dentro di me per il feroce dolore, mi alzai da terra da sola, fieramente anche se
con gambe malcerte. Non son mica una mammoletta, io! Eh, Santa Polenta!
Sorvolerò su quanto mi disse la Prole, per un residuo di dignità. E tanto vi basti.
Adesso, tornata a casa dopo tutto il pomeriggio di lavoro, posso fare un sunto della situazione. Che è questo:
- il dolore alla zucca è ancora vivo ma quello alla dignità brucia molto di più.
- c’è però una cosa altamente positiva e su questo punto io vi sfido: ditemi, amici cari, quanti dei miei coetanei può andare in giro a vantarsi di avere un ematoma sulla cocuzza perché …. è
caduto dall’altalena? Avanti! Su! Su! Se avete coraggio, parlate!
E con ciò, per oggi, passo e chiudo.
Maria Chiara