22 agosto 2011
QUARTO CAPITOLO
E poi, all’improvviso, fu tutto finito.
Mac, tremolando stremata, guadagnò, a fatica, il davanzale, rotolò quasi esanime sul tappeto sotto la finestra e strisciò gemendo verso il divano. L’attimo successivo vide i nostri due eroi seduti fianco a fianco, pallidissimi e muti.
Finalmente.
Finalmente dato che erano quasi le cinque e, oramai, le finestre del quartiere erano quasi tutte illuminate.
“E se qualcuno chiama la polizia?”
“Meglio, così mi aiutano a trovare la mia bambina!”
“Non è la tua bambina, è uno stupido gatto! E se poi pensano che tu sia una ladra?”
“Spiegherò tutto al commissariato!”
“Non ti crederanno mai!”
”Massì, invece! In fin dei conti non abbiamo mica fatto niente di insolito, no?”
“Te lo metteranno sulla fedina penale!”
“Ma va là!”
“Ma ci pensi? E se qualcuno ti avesse sparato a sale?”
“Devono solo provarci! A ME?!? SPARARE A SALE A ME?!? Gliela facevo vedere io a quegli incoscienti!”
Il Cecco, sempre più rassegnato, tornò a casa promettendo che sarebbe ripassato la mattina successiva prima di andare a lavorare e facendosi giurare e spergiurare che non si sarebbe calata sul tetto un’altra volta, da sola, in caso di ulteriori avvistamenti.
Angosciato, dalla porta, ripeteva:
“Nel caso, TI PREGO, prima chiamami!”
Ovviamente Mac riprese, testarda, la ronda notturna, anche questa volta senza successo. Non potè chiudere occhio all’idea della povera Pimpi, vulnerabile e delicata preda di malfattori e sadici criminali.
Ma tutte le cose, fortunatamente, alla fine arrivano a una conclusione e così, alle sette e trenta, Mac udì la signora del piano di sotto muoversi.
Rapida come la folgore, corse a suonare alla sua porta.
Ora però, non insistete, suvvia! Non mi piace dilungarmi, lo sapete bene che sono una di poche parole, io!
Comunque: la Pimpi era in camera della signora, appallottolata nella libreria, completamente terrorizzata e grossa non più di una nocciolina nel tentativo di scomparire alla vista.
Mac, in lacrime, baciò la signora.
La ringraziò con frasi sconclusionate e, con la sua adorabile e adorata gattina tra le braccia che, al colmo della gratitudine, a forza di morsi e unghiate le ridusse maglietta e pelle ad artistiche stelle filanti sanguinolente, tornò, trepida a casa sotto lo sguardo disgustato di Pliffo Le Roi.
Il tempo di far calmare i battiti del cuore, di disinfettare e rattoppare le ferite e di tubare sdolcinatezze alla sua dolce e tenera gattina che, in cambio, la guardava con odio feroce, soffiando ferocemente da un angolo della stanza, con la pelliccia irta sulla schiena e una coda così gonfia che avrebbe reso orgoglioso persino uno scoiattolo e poi Mac, risolutamente e di nuovo serena, partì per Bergamo.
Già, perché ho dimenticato di dirvi che la mattina dopo, ad Orio al Serio, dopo le vacanze in Sardegna, ritornava Arabella, figlia dell’agente Mac e affezionata proprietaria (o almeno questo è quello che crede lei) della Piccola Pimpi.
Tutto è bene quel che finisce bene? Eh no, cari amici! Nemmeno questa volta! E come mai, penserete voi? Perché l’Ineffabile Fulvio Piè Veloce, appena venuto a conoscenza dei fatti della notte, si offese gravemente:
”Perché hai chiamato il Cecco e non me? Forse perché ti fidi di lui più di quanto non ti fidi di me?”
Mac e il Grande gli diedero ampie rassicurazioni circa la loro amicizia e la loro fiducia nel suo genio ineguagliabile quindi lui, visto che è di buon carattere, sbollì velocemente l’offesa. Peccato però che, dopo una breve riflessione, trovò altri argomenti per ricominciare a protestare vivacemente:
“Possibile che non abbiate pensato a fare un filmino a Mac appesa al lenzuolo come un cotechino? Lo dicevo, io, che mi dovevate chiamare!”
Eh già! Perché l’Ineffabile ha da poco iniziato a giocare con l’iPhone e un’occasione come questa non gli ricapiterà troppo facilmente…..
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Testo Maria Chiara Verderi
Foto Arabella Salvini